LA PSICANALISI SECONDO |
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"TU PUOI SAPERE, SE NON TORNI INDIETRO" |
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Vieni da "La causa freudiana" Sei in "Gradiva, un passo avanti" „Norbert Hanold erinnert sich nicht beim Anblick des Reliefs, daß er solche Fußstellung schon bei seiner Jugendfreundin gesehen hat; er erinnert sich überhaupt nicht, und doch rührt alle Wirkung des Reliefs von solcher Anknüpfung an den Eindruck in der „Alla vista del bassorilievo Norbert Hanold non ricorda di aver già visto quella postura del piede nell’amica di gioventù. Non ricorda nulla e, tuttavia, l’intero effetto [soggettivo] del bassorilievo dipende dal collegamento con l’impressione infantile, la quale si attiva, al punto da produrre effetti, senza però giungere alla coscienza. Rimane inconscia, come diciamo di solito con un termine ormai diventato inevitabile in psicopatologia. Ho scelto questo passo di Freud perché in poche righe condensa l’oscillazione epistemica del fondatore della psicanalisi. Freud sta esattamente in bilico tra scienza antica e moderna. Si affaccia alla finestra della scienza moderna e vede l’inconscio: un sapere che produce intensi effetti soggettivi (“deliri e sogni”), pur senza arrivare alla coscienza. Ma poi spaventato si ritrae, chiude la finestra e si ritira nella torre d’avorio del determinismo aristotelico, dove la causa produce sempre l’intero effetto: doch rührt alle Wirkung des Reliefs von solcher Anknüpfung an den Eindruck in der Freud fa un passo avanti e due indietro. Si incammina dietro Gradiva, ma poi si pente e torna sui suoi passi. Nella logica dell'inconscio, come nella logica intuizionista, non vale il principio del terzo escluso. Come gli psicanalisti dovrebbero sapere, nell'inconscio la negazione non sempre nega. Quando non nega, serve a "far risalire" il rimosso verso la coscienza. Si può allora usare la formula del terzo escluso (A vel non A), ora non più chiusa dentro un teorema, per "terzoesclusivizzare" ogni enunciato. In seguito alla trasformazione ogni enunciato X diventa (X vel non X). La trasformazione, che è giusto chiamare epistemica, non trasforma X in un teorema, ma porge il sapere di X, in generale un sapere congetturale (non dimostrato). In formule scriviamo il sapere di X semplicemente così: SX. SX non è contraddittorio. Da SX non deriva tutto e il contrario di tutto. Anzi, la scrittura SX gode di interessanti teoremi… freudiani. Ne cito alcuni, tralasciando le dimostrazioni pressoché ovvie. Non SX implica SX, il non sapere implica il sapere. Ma questo è addirittura cartesiano: dal dubbio (non sapere se si sa o non si sa) deriva la certezza dell’esistenza del soggetto che dubita. Non capiremo mai perché Freud abbia distolto lo sguardo da questo paradiso epistemologico per acquattarsi nella palude del cognitivismo aristotelico. Perché abbia abbandonato la via dello scire per theoremata e si sia abbassato allo scire per causas. Per effetto di controtransfert, nauseato dalla numerologia del suo analista Fliess? Non lo sappiamo ed è meglio abbandonare queste strade interpretative di stampo patobiografico. Momento di vedere. Freud vede che nell’isteria c’è dell’inconscio. La conclusione del sillogismo freudiano, scorretta anche dal punto di vista aristotelico, realizza propriamente il regresso dalla scienza moderna – che è congetturale e incompleta – alla scienza antica – che è dogmatica e completa. Compiuto il primo passo falso, seguono precipitosamente tutti i successivi. Sono i passi che portano Freud a costruire la metapsicologia delle pulsioni, intese come cause. Le pulsioni non sono istinti biologici. Sono cause. Sono cause efficienti le pulsioni sessuali, che dovrebbero produrre la soddisfazione sessuale. E' una causa finale la pulsione di morte, che mira a minimizzare le tensioni psichiche. Con Gradiva si può fare un altro giro di danza. „Ich bin nicht immer Psychotherapeut gewesen, sondern bin bei Lokaldiagnosen und Elektroprognostik erzogen worden wie andere Neuropathologen, und es berührt mich selbst noch eigentümlich, daß die Krankengeschichten, die ich schreibe, wie Novellen zu lesen sind, und daß sie sozusagen des ernsten Gepräges der Wissenschaftlichkeit entbehren. Ich muß mich damit trösten, daß für dieses Ergebnis die Natur des Gegenstandes offenbar eher verantwortlich zu machen ist als meine Vorliebe; Lokaldiagnostik und elektrische Reaktionen kommen bei dem Studium der Hysterie eben nicht zur Geltung, während eine eingehende Darstellung der seelischen Vorgänge, wie man sie vom Dichter zu erhalten gewohnt ist, mir gestattet, bei Anwendung einiger weniger psychologischer Formeln doch eine Art von Einsicht in den Hergang einer Hysterie zu gewinnen. Solche Krankengeschichten wollen beurteilt werden wie psychiatrische, haben aber vor letzteren eines voraus, nämlich die innige Beziehung zwischen Leidensgeschichte und Krankheitssymptomen, nach welcher wir in den Biographien anderer Psychosen noch vergebens suchen.“ “Non sono sempre stato uno psicoterapeuta. Come tanti altri neuropatologi mi sono formato su diagnosi locali e prognosi elettriche. Perciò mi colpisce proprio che le storie cliniche da me scritte si leggano come novelle, carenti come sono, per così dire, del marchio della serietà scientifica. Per consolarmi non mi resta che attribuire la responsabilità di questo risultato alla natura dell’oggetto piuttosto che alle mie preferenze. Diagnosi locali e reazioni elettriche non hanno corso nello studio dell’isteria, mentre la rappresentazione approfondita dei processi psichici, quale ci è in genere fornita dagli scrittori, mi consente, applicando poche formule psicologiche, di ottenere una certa comprensione dell’andamento di un’isteria. Storie cliniche come questa andrebbero giudicate come psichiatriche, rispetto alle quali hanno tuttavia un vantaggio, cioè di segnalare l’intimo rapporto tra storia delle sofferenze e sintomi morbosi, che invano cercheremmo nelle biografie [psichiatriche] delle altre psicosi.” (S. Freud, “Studi sull’isteria” (1895), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 277). Freud stesso ci insegna a prendere con le molle questo genere di giustificazioni troppo razionali. Freud vorrebbe farci credere che, poverino, lui stava onestamente cercando la serietà scientifica, ma che questa gli è sfuggita di mano per la natura dell’oggetto di ricerca. La letteratura avrebbe preso la rivincita sulla scienza. Oggi, a distanza di un secolo, possiamo tranquillamente affermare che questa è una palla. In verità, la letteratura non c’entra. Freud, come tutti, come Darwin e Einstein, resisteva alla scienza – addirittura resisteva alla nuova scienza che lui stesso stava per inventare. La storia della regressione dalla nuova scienza all’antica è scritta per “seconda intenzione” – come si diceva un tempo in medicina per la guarigione di una ferita purulenta – proprio nel commento alla Gradiva di Jensen. L’eroe della novella, Norbert Hanold, è un archeologo che, con qualche scucitura psichica – azioni coatte, pseudoallucinazioni e sogni incubosi – realizza la transizione soggettiva dal mondo freddo della scienza (rappresentato convenzionalmente nella novella come mondo nordico, tedesco) al mondo caldo dell’amore per un’amica d’infanzia (rappresentato altrettanto convenzionalmente come mondo meridionale, italiano). Trascuro l’interpretazione freudiana della Gradiva, come figura che rappresenta la fissazione al ricordo rimosso di un innamoramento infantile. Nella metanovella freudiana c’è qualcosa di più bruciante di questo stereotipo interpretativo. Per esempio, qualcosa del genere. La scienza per antonomasia è per Freud l’archeologia. Lui stesso è un collezionista di vecchie statuette. Nei suoi scritti sono frequenti i riferimenti allo scavo psicologico, di cui quello archeologico sarebbe il modello. Ma, casualmente, all’epoca anche Freud sta eseguendo la travagliata transizione dalla fredda scienza al caldo amore. Si tratta dell’amore per la cognata, sorella minore della moglie. Di questo passaggio restano tracce nella Psicopatologia della vita quotidiana, scritta l’anno prima della Gradiva2, nella dimenticanza del pronome aliquis, scomposto in a liquis, senza liquido… mestruale. Sono cose che capitano nelle migliori famiglie. Nel commento alla Gradiva1 il complesso della sorella tornò come fissazione interpretativa. Freud pretendeva che l’autore di Gradiva1 fosse rimasto fissato all’amore incestuoso per la sorella. L’autore irritato smentì seccamente. Non ebbe sorelle e non volle più saperne di freudianerie. Freud, invece, ne ebbe ben cinque di sorelle con tutte le freudianerie del caso. La preferita era la seconda. Con la prima, Anna, litigava sempre. La seconda si chiamava Regina, detta Rosa. Morì gasata a Treblinka. * La parola giusta sui rapporti tra scienza e letteratura la dice Mario Lavagetto alla fine della sua prefazione a un interessante libretto, pubblicato nel 1992 dallo Studio Tesi di Pordenone, che raccoglie le due Gradive: la novella-oggetto di Jensen e la metanovella di Freud. Sentiamola: “Peccato, infine, che Freud, pur ricavando dalla vicenda uno spunto decisivo per il saggio Lo scrittore [non poeta!] e la fantasia, non abbia saputo riconoscere nella fuga di quel modesto scrittore […] un’immagine della letteratura impegnata a difendere l’opacità, che egli stesso le riconobbe, in più occasioni, come irrinunciabile prerogativa”. L’opacità (Undurchsichtigkeit) della letteratura è una sola: la falsità della finzione. La falsità è anche ciò che la letteratura condivide con la scienza. Ma con una differenza di fondo. Il falso della letteratura è falso e basta. Resta falso, perché in un certo senso è già del tutto vero nel momento in cui lo scrittore lo scrive. Anzi, il falso della finzione è l’unico vero accessibile alla letteratura. Le madeleine di Proust sono false e vere al tempo stesso, proprio perché sono come sono descritte così e cosà da Proust. Sono loro e non possono essere altro. La loro verità sta nella loro singolarità. Non si adeguano a nulla se non a se stesse, singolarmente considerate. Nella loro singolarità sono universali, come sosteneva Goethe. Conseguenza: in letteratura il falso-vero è statico. Se allo scrittore riesce il gioco di prestigio, il suo falso-vero rimarrà in eterno come tale. Non cambierà mai. Tutt’al più sarà disponibile all’infinita ruminazione dei critici letterari, che sbricioleranno i dettagli della singolarità, perché noi ignoranti possiamo inghiottirla a piccoli bocconi e assimilarla. Invece, il falso-vero scientifico è dinamico. Evolve. Passa dallo stadio di falsità della congettura o dell’ipotesi di lavoro allo stadio di minore falsità della tesi scientifica, parzialmente dimostrata o parzialmente confermata. Tuttavia, nonostante l'indefessa "perlaborazione" (durcharbeiten) della comunità scientifica, la congettura scientifica rimarrà, tuttavia, sempre lontana dalla verità assoluta e categorica. Non sarà mai come la verità dogmatica della religione. Manterrà sempre uno statuto di verità condizionata. Per la congettura scientifica vale che, se certe premesse sono vere, allora certe conseguenze saranno probabili. La scienza è modesta. Non dice le cose come stanno in modo categorico, come il medico o il giudice o a volte, troppo spesso, lo psicanalista freudiano. * Questo è il tempo e il luogo per concludere una querelle, che io stesso ho contribuito ad alimentare nella pagina Contro i casi clinici. Con questo discorso non cambio di molto le mie posizioni, tuttavia. I resoconti di casi clinici non possono limitarsi alla narrazione, in genere portata a sostegno di qualche dottrina psicanalitica di scuola. I cosiddetti casi clinici, come i romanzetti che Freud amava portare a sostegno della propria metapsicologia, servono a costruire la teoria. Ma non nel senso che dalla loro realtà empirica si “induce” la teoria. Questo è un postulato positivistico ormai abbattuto. I casi clinici servono a falsificare teorie psicanalitiche stabilite altrove, per esempio a partire da altri casi clinici. Purtroppo, raramente vengono usati in questo senso. Allora, se sono patografie, io resto contrario ai casi clinici, alle supervisioni, ai controlli e a tutte le altre pratiche di conformazione del giovane analista alla dottrina di scuola, in quanto, come diceva Freud, “sono carenti del marchio della serietà scientifica”. Morale di questa pagina: impariamo a liberare Freud dai suoi stessi freudismi. Note (0) Freud non nutre interessi estetici, invadendo il campo letterario. Va a caccia di conferme della propria "psicanalisi medica". Non essendo scienziato, ma medico, ignora che le congetture scientifiche non si confermano, ma si confutano. E trova conferme dove più e meglio gli conviene, per esempio nella Gradiva di Jensen. Cito: "Wir entwickeln diese Gesetze durch Analyse aus seinen Dichtungen, wie wir sie aus den Fällen realer Erkrankung herausfinden, aber der Schluß scheint unabweisbar, entweder haben beide, der Dichter wie der Arzt, das Unbewußte in gleicher Weise mißverstanden, oder wir haben es beide richtig verstanden. Dieser Schluß ist uns sehr wertvoll; um seinetwegen war es uns der Mühe wert, die Darstellung der Wahnbildung und Wahnheilung sowie die Träume in Jensens „Gradiva“ mit den Methoden der ärztlichen Psychoanalyse zu untersuchen." "Sviluppiamo queste leggi [dell'inconscio] analizzando i suoi testi così come le ricaveremmo dai casi di malattia reale. Ma una conclusione ci sembra incontrovertibile: o entrambi, il medico e il poeta, hanno "cannato" l'inconscio allo stesso modo o entrambi l'hanno compreso correttamente. La conclusione è per noi molto importante. Per guadagnarla valeva la pena di esaminare con i metodi della psicanalisi medica [sic] la rappresentazione della formazione e della guarigione del delirio, non meno dei sogni della Gradiva di Jensen". (S. Freud, "Il delirio e i sogni nella Gradiva di W. Jensen" (1906), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, Vol. VII, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 121). (Torna su) (1) Il raddoppiamento del testo narrativo è una pacchia per gli ermeneuti: discrepanze e coincidenze tra i due testi divengono lo spunto per un'esegesi infinita. Freud stesso segnala questa possibilità come regola empirica della Traumdeutung: "In diesem Falle können wir uns einer empirisch gefundenen Regel bedienen, welche uns rät, die Traumerzählung wiederholen zu lassen. Der Träumer verändert dabei gewöhnlich seine Ausdrucksweise an manchen Stellen, während er sich an anderen getreulich wiederholt. Wir aber klammern uns an die Stellen, in denen die Reproduktion durch Abänderung, oft auch durch Auslassung, fehlerhaft ist, weil uns diese Untreue die Zugehörigkeit zum Komplex verbürgt und den besten Zugang zum geheimen Sinn des Traumes verspricht". "In questo caso possiamo servirci della regola empiricamente trovata di far ripetere il racconto del sogno. Di solito il sognatore cambia il proprio modo di esprimersi in diversi punti, mentre in altri lo mantiene invariato. Noi, però, ci aggrappiamo alle variazioni, spesso alle omissioni e agli errori, perché queste infedeltà testuali nascondono l'appartenenza al complesso e promettono il migliore accesso al senso segreto del sogno". (S. Freud, "Diagnostica del fatto e psicanalisi" (1906), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. VII, Fischer, Frankfurt a.M 1999, p. 11.) (Torna su)
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